Capire la retention con l’analisi di coorte

Fidelizzare i clienti e aumentare la retention rate – ossia il tasso di clienti che tornano a utilizzare il nostro prodotto – è uno degli obiettivi più comuni nelle strategie di un product manager: in linea di massima, acquisire un cliente è molto più costoso rispetto a mantenerne uno esistente. Inoltre i clienti fedeli tendono a essere “migliori” (tipicamente: più profittabili) rispetto a quelli saltuari.

Migliorare la retention passa necessariamente dal saperla analizzare. Tra i vari strumenti a disposizione, il più utilizzato è l’analisi di coorte.

Cos’è una coorte?

Una coorte è semplicemente un gruppo di utenti che condividono delle caratteristiche specifiche in un certo periodo di tempo.

Ad esempio: una coorte può essere rappresentata dagli utenti che si sono registrati su un sito nel corso di un determinato mese. Supponiamo di aver implementato a fine gennaio un cambiamento nel processo di registrazione e di volerne valutare l’impatto sulla retention. Confrontare la coorte di gennaio con quella di febbraio e tracciarne la frequenza di ritorno può darmi indicazioni sul successo delle nuove fuzionalità.

L’esempio appena considerato raggruppa gli utenti in base al periodo di iscrizione: dunque è basata sull’acquisizione. Un altro caso comune nelle analisi di coorte è il raggruppamento per comportamento: utenti che hanno compiuto lo stesso tipo di azione in un dato periodo di tempo. Ad esempio: utenti che hanno aggiunto un prodotto alla lista dei desideri in una data settimana.

Ovviamente i periodi temporali da utilizzare per la segmentazione non sono predeterminati. Dipendono dal tipo di prodotto, e dalla funzionalità o contesto che stiamo analizzando.

Come calcolare la customer retention rate

Supponiamo di considerare un dato mese: la customer retention rate (CRR) considera il numero di clienti a fine mese a cui sottrae i clienti acquisiti nel corso del periodo in questione, per poi dividere il tutto per il di clienti da cui eravamo partiti.

Ad esempio: se a fine mese ho 2.000 utenti, di cui 200 sono stati acquisiti nel corso del mese, e a inizio mese ho 2.100 utenti, la CRR è data da (2.000 – 200) / 2.100 = 0.857 (85,7%).

Sostanzialmente è un indicatore di quanti clienti ho mantenuto rispetto alla mia base, a prescindere da quanti ne abbia acquisiti.

Strumenti come Google Analytics forniscono queste metriche senza alcun bisogno di doverle calcolare. E ancora più convenientemente, forniscono rapporti dedicati specificamente alle analisi di coorte.

Come leggere l’analisi di coorte

schermata del rapporto analisi di coorte di Google Analytics
Fonte: Guida di Analytics

L’analisi di coorte di Analytics mostra due visualizzazioni – un grafico e una tabella.

Il grafico fornisce un’analisi aggregata del comportamento delle coorti. L’esempio riportato ci dice che mediamente, nel periodo di tempo selezionato, il 33% degli utenti ha visitato il sito il giorno dopo la prima visita, il 52% a due giorni dalla prima visita, il 39% il terzo giorno e così via.

La prima riga della tabella (“All Sessions”) mostra nuovamente i dati delle coorti aggregati. Le righe successive invece forniscono i dati disaggregati per ciascuna coorte. Ad esempio, tra gli utenti che hanno visitato il sito per la prima volta il 22 gennaio solo il 49.27% è ritornato dopo due giorni; se invece guardiamo alla coorte degli utenti che hanno visitato il sito per la prima volta il 26 gennaio, il 55.95% di questi è tornata dopo due giorni.

Individuare pattern temporali

Un primo indizio concreto che si può cogliere da un’analisi di coorte è la presenza di pattern nel ciclo di vita dell’utenza. Supponiamo ad esempio di trovarci davanti a questi dati aggregati:

Esempio di analisi di coorte aggregata

Dopo la prima settimana la retention passa al 25% circa. A questo punto rimane relativamente stabile fino alla quinta settimana, dopo la quale si verifica un visibile calo ulteriore. Da un lato può essere interessante cercare capire le ragioni di un balzo così evidente: può essere legato alle strategie di acquisizione (ad esempio, viene offerta una prova gratuita che scade dopo cinque settimane)? Oppure è organico del tipo di servizio offerto?

Comprese le cause si possono adottare accorgimenti adeguati per ridurre il calo. Magari può essere il momento giusto per applicare tecniche di riattivazione, o ancora meglio, il momento per “tendere una mano” agli utenti prima che se ne vadano.

Guardare alle coorti individuali su un periodo sufficientemente lungo può inoltre informarci sull’andamento della retention del prodotto nel tempo. Consideriamo questo esempio:

Analisi di coorte - esempio

Leggendo la tabella “in verticale” è evidente che l’abbandono degli utenti dopo il primo mese è in aumento. Occorre dunque capire le ragioni e invertire il trend.

Individuare l’impatto di determinate azioni

Individuare i pattern temporali, in sé, non ci dice molto sulle ragioni per cui gli utenti abbandonano il nostro prodotto. Un modo per avvicinarsi alle possibili cause è osservare l’effetto di azioni specifici sulla retention.

Supponiamo, ad esempio, di avere indicazioni che l’utilizzo della lista dei desideri nel nostro sito fornisca un buon incentivo agli utenti per tornare. Possiamo analizzare la CRR per questo segmento utenti e confrontarla con la media. Immaginiamo che questi siano i risultati:

Esempio di analisi di coorte disaggregata a seconda del comportamento degli utenti

Chiaramente l’ipotesi ha un primo fondamento nei dati. Possiamo a questo punto pensare a tecniche per incentivare più utenti a utilizzare la lista dei desideri, e scavare più a fondo nel comportamento per capire la natura della correlazione.

Approfondire il comportamento degli utenti che tornano

Uno dei problemi nell’analizzare la retention in questo modo è che non abbiamo alcuna indicazione sul valore effettivo delle nuove visite. Diventa facile trasformare un’utile indicatore in una vanity metric costruita a tavolino per raggiungere i nostri OKR (magari fornendo incentivi del tutto errati).

Ad esempio, non è possibile sapere quale sia la frequenza con cui i nostri utenti fedeli tornano a utilizzare il nostro prodotto. Non è neanche chiaro quanto attivi siano una volta che tornano.

Si possono utilizzare alcuni accorgimenti per andare più a fondo nell’analisi:

  • Creare rapporti che analizzino la retention basata su azioni significative: ad esempio, considerare solo gli utenti la cui durata della sessione sia superiore a una certa soglia; o gli utenti che hanno interagito con determinati elementi del sito (ad esempio, che hanno visitato almeno una pagina prodotto).
  • Analizzare il fatturato o il margine che ciascuna coorte ha prodotto (invece di analizzare la CRR).
  • Affiancare a questo dato il costo di acquisizione medio per ciascuna coorte.

L’analisi della retention è complessa: le ragioni che spingono un utente a tornare a utilizzare un prodotto nel tempo sono spesso varie e interconnesse. Inoltre, il comportamento di un utente può cambiare col tempo e il semplice fatto di “tornare” non è automaticamente un segno di successo.

La pallottola d’argento non esiste. Ciò detto, rendere espliciti i pattern temporali e comportamentali è un primo, importante passo per individuare quegli elementi del nostro prodotto che creano valore ripetutamente e che fidelizzano i nostri clienti.

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